Il suo nome è diventato sinonimo di malvagità, dissolutezza, infamia. L’ultimo a cui è stato appioppato è Dominic Cummings, ex consigliere del premier britannico Boris Johnson. Forse per la sua fama di diabolico stratega della Brexit, ora in cerca di tremenda vendetta dopo essere stato messo alla porta del numero 10 Downing Street.
Ma chi è stato Grigorij Efimovic Rasputin, il “santo diavolo”, lo “starec di Dio”, il “monaco nero” che ha dato il colpo di grazia alla dinastia imperiale dei Romanov?
«Un contadino siberiano semi-analfabeta, uomo di Dio nell’anima e peccatore nel corpo, sedicente guaritore e sicuramente incantatore, capace di coniugare fede, lussuria e profezia nel fanatismo settario dei monaci “flagellanti”. Ma pronto soprattutto a raccogliere nelle sue grandi mani spalancate e negli occhi color dei fiori di lino l’angoscia da fine-di-mondo che pesava sui sovrani e sull’impero, intercettando il sentimento dell’apocalisse», ha risposto il giornalista Ezio Mauro in un lungo e documentatissimo articolo.
Quando entra per la prima volta nel palazzo dell’ultimo Imperatore di tutte le Russie, Rasputin ha 36 anni e non si presenta con l’appeal giusto ma con l’aspetto di un povero contadino:
barba arruffata, capelli lunghi sporchi, giubba di tela legata con un cordone. Ad aprirgli le porte della reggia Zarskoe Selo era stata la sua fama di taumaturgo e guaritore. Nella speranza potesse fare qualcosa per alleviare l’inguaribile emofilia dello zarevic’ Alessio, l’atteso erede maschio che l’’imperatrice Aleksandra Fedorovna aveva finalmente dato alla luce dopo quattro femmine: Olga, Tatjana, Marija e Anastasija
Scrive ancora Mauro: «Col parto atteso da tutta la Russia l’imperatrice ha salvato la dinastia ma ha condannato suo figlio, perché gli ha trasmesso l’emofilia tedesca di famiglia, allora incurabile, tanto che la malattia dello zarevic viene subito circondata da un segreto di Stato malinconico e cupo, protetto dal marinaio Derevenko che lo segue ad ogni passo per prevenire cadute, urti, ematomi e lividi capaci di degenerare. Finché Rasputin nell’autunno del 1907 entra nella stanza del bambino imperiale senza luce elettrica, si inginocchia come in chiesa sotto i lumi delle icone, accarezza la mano del piccolo zarevic, lo calma raccontandogli la storia siberiana del cavallo gobbo e del cavaliere senza gambe e infine annuncia ai sovrani che crescendo Aleksej guarirà completamente, vincendo la malattia. Per la prima volta Alix, l’imperatrice, si inchina a baciare la mano del santo contadino».
A quanto pare fin dal primo incontro, Rasputin ottenne qualche tangibile effetto benefico sul piccolo.
C’è chi dice grazie a un tipo di ipnosi che rallentava il battito cardiaco del bambino, riducendo così la velocità di circolazione del sangue o semplicemente interrompendo l’assunzione di aspirina, che i medici di corte somministravano per lenire i dolori articolari. Da qual momento inizia l’escalation di potere che pochi anni dopo lo porterà ad affermare:
«Tra queste dita io tengo l’impero russo».
Un bel risultato per lui, nato il 9 gennaio 1869 a Prokrovskoe, sperduto villaggio della Siberia a più di duemila chilometri da San Pietroburgo, allora capitale della Russia. La leggenda vuole che l’adolescente Grisha durante un attacco di febbre avesse avuto una visione: racconterà di aver visto la Madonna che l’avrebbe guarito. A vent’anni Rasputin si sposa, ma dopo la morte del figlio di pochi mesi cade in depressione e guarisce grazie ad un’altra apparizione della Madonna, che lo spinge a lasciare tutto e partire. Entra così in contatto con la setta illegale dei Chlisty, duramente critici nei confronti della Chiesa ortodossa, che accusano di corruzione e decadentismo. Costoro credevano che Cristo si potesse incarnare in qualsiasi uomo. Durante le celebrazioni notturne in luoghi sotterranei, i chlysty cantavano, danzavano, si flagellavano e raggiungevano uno stato di estasi rituale che culminava in un’orgia, perché pensavano che il peccato portasse al pentimento e alla salvezza: una credenza alla luce della quale è stata interpretata la lussuria di Rasputin. L’ipotesi resta comunque un mistero, visto che nessuna delle indagini successivamente condotte dalla Chiesa su Grigorij provò che fosse un settario.
Quello che invece si sa per certo è che, dopo aver passato un anno presso il convento di Verchoturje e aver vagato tra Mosca, Kiev e Kazan, torna al suo villaggio natale dove allestisce una chiesa personale.
Ed è così che Rasputin si guadagna la fama di “Starec” (dal russo стaрец, derivato da стaрый, staryj, anziano), termine che si riferisce ai mistici cristiani ortodossi dotati di particolare carisma.
La sua forza risiede nel suo sguardo magnetico, intenso e allucinato, capace di grande presa sulla gente; le sue sono parole semplici, capaci di convincere; la sua fama in breve si diffonde richiamando alla sua chiesa gente da tutta la regione.
C’è un’altra data fatidica nella vita di Rasputin:
il 12 ottobre 1912, quando riceve un telegramma della famiglia reale che lo informa di una grave crisi di Alessio: «I medici disperano. Le vostre preghiere sono la nostra ultima speranza». Dopo essere entrato in trance per diverse ore, risponde assicurando la guarigione del piccolo, cosa che avviene puntualmente nell’arco di poche ore.
Il carisma mistico del monaco fa sempre più presa sulla Zarina Alessandra, tanto che il rapporto tra i due alimenta illazioni libertine. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Rasputin fa di tutto per manipolarla e per portare la Russia su posizioni pacifiste. Crescono così anche i sospetti, le invidie, le maldicenze, soprattutto perché mentre lo Zar è impegnato al quartier generale militare di Mogilev, gli affari di Stato finiscono nella stanza della zarina, con il parere, i veti e il visto di padre Grigorij.
Rasputin intanto si abbandona a uno stile di vita sfrenato e diventa quello che il popolo non tarda a definire “lo zar sopra lo Zar”.
In via Gorochovaja 64, a San Pietroburgo, c’è la fila di supplicanti che chiedono una raccomandazione, una benedizione, una guarigione. Tra loro tante donne. Con alcune Grigorij si chiudeva nello studio, prendeva un bigliettino con la croce dal mucchio già pronto sulla scrivania (“Fate quel che vi chiede, Cristo è risorto”) e lo consegnava in cambio di baci, carezze, denaro.
Ad altre dava appuntamento nelle salette riservate dell’hotel Astoria, di Villa Rodè, del Donon o di Jar o di Strelna dove la notte finiva sempre all’alba tra orge e bevute.
Lo scandalo dilaga e davanti a tutta la Duma il primo ottobre 1916 il deputato d’opposizione Pavel Miljukov lancia una terribile accusa: «Il nome della zarina viene ripetuto sempre più spesso insieme a quello di delinquenti che la accompagnano. Che cos’è, stupidità o tradimento?».
Ancora più pesante l’affondo del deputato Puriskevic, monarchico, il 19 novembre: «Porto ai piedi del trono l’amarezza delle masse russe e dei soldati al fronte per i ministri diventati marionette in mano a Rasputin e all’Imperatrice, che è rimasta tedesca sul trono russo, estranea al Paese e al popolo».
A scrivere la parola fine è una congiura di nobili, che attirano di notte Rasputin in una trappola.
Prima cercano di avvelenarlo con il cianuro, poi gli sparano un colpo di pistola, infine lo bastonano e lo gettano nel canale Fontanka. Il corpo riemerge due giorni dopo, viene prima sepolto, poi dissotterrato per essere bruciato ai bordi di una strada.
Nonostante la disperazione della zarina Alexandra, nessuno verrà punito per il delitto, forse perché tra i congiurati c’erano anche molti parenti dell’imperatore.
Ai posteri, rimangono solo le mille congetture sul lato oscuro della vita di Rasputin.
E anche tanti misteri. Ad esempio capire perché mai oggi ci sia ancora qualcuno che dopo più di un secolo lascia un mazzo di garofani rossi nel punto in cui il 30 dicembre 1916 (17 dicembre secondo il calendario giuliano) venne ucciso colui che ha sancito la fine della dinastia imperiale dei Romanov.