Mina compie ottant’anni ed è l’unica cantante italiana che non è invecchiata. Per tutti noi resterà sempre quell’incredibile animale da palcoscenico che ha salutato i suoi fans con il mitico concerto alla Bussola nell’estate del 1978.
Ognuno ha la sua Mina.
C’è chi ama l’urlatrice di Mille bolle blu, chi l’infinita interprete di Battisti, chi la voce senza corpo degli anni Ottanta, chi quella delle cover dei “pulcini” (una per tutte Oggi sono io di Alex Britti), chi quella made in Usa che canta The Voice.
La mia è e sarà per sempre la Mina degli Anni Settanta.
Quella di Milleluci, per intenderci, che apriva la trasmissione seduta su uno sgabello, fumando una sigaretta (all’epoca si poteva anche in tv!) e cantava accompagnata dall’armonica di Toots Thielmans Non gioco più me ne vado.
“La vita è un letto sfatto, io prendo quel trovo e lascio quel che prendo dietro me…”
Correva il 1974 e lei, in coppia con Raffaella Carrà, conduceva il varietà del sabato sera.
Il sogno erotico dell’italiano medio e la Dea pagana.
La ragazza romagnola tutta tuca-tuca e ombelico da fuori e la donna nuova.
Perché lei è stata una “cosa” nuova, un modello di femminilità all’epoca assente nell’immaginario collettivo. Come David Bowie in quegli anni inventava l’androgino marziano che indossava tutine e rossetto, ma trasudava testosterone (non c’era ragazza che non ha sognato di “morire”, come direbbe Mina, tra le esili braccia di Ziggy Stardust), lei proponeva un’alternativa alla maliziosa ingenuità della futura Raffa nazionale. E varcava gli studi Rai dal suo maestoso metro e settantotto, più una dea dell’Olimpo che una cantante. Al suo cospetto Alberto Lupo sembrava un impiegato e le altre, tutte le altre, anche l’aquila di Ligonchio (Iva Zanicchi) e la pantera di Goro (Milva) dei suoi by-product, direbbe un esperto di marketing.
Maestra di stile e di unicità, tra le tante cose che Mina ha insegnato alle donne della sua generazione – tra cui, non ultimo, truccarsi e vestirsi come un’icona – c’è stata l’arte di portare le corna.
E di più.
Solo lei ha saputo rivoltare lo stereotipo della tradita come un calzino e restituirci una donna bella, sensuale, libera e consapevole: cornuta sì, ma viva e desiderante.
Merito degli autori dei testi? Senza dubbio, perché in quegli anni non solo Mogol e Battisti, ma anche Paolo Limiti, Cristiano Malgioglio e il sottostimato Anselmo Genovese (ndr autore di Anche un uomo) erano in stato di grazia.
Ma chi, se non lei, poteva dare voce e forma a quella rivoluzione di costumi iniziata alla fine degli Anni Sessanta? E chi, se non lei, poteva riscattare generazioni passate – e a venire – di donne tradite dagli uomini più egoisti e prepotenti che abbiam conosciuto mai?
Quella tra autore e interprete, si sa, è un’alchimia, una chimica intraducibile, un rapporto erotico di scambio e complicità. Perciò non è azzardato pensare che senza di lei Alberto Testa e Walter Malgoni non sarebbero riusciti a scrivere frasi del tipo
parla fa’ qualcosa
sto morendo da qualcosa
dimmi che mi uccidi
dimmi che mi odi…
mandami dei fiori anche se non sono morta…
E Cristiano Malgioglio non avrebbe scritto i suoi migliori pezzi e scandalizzato, all’epoca davvero, il comune sentire di un’italietta bacchettona e pruriginosa, ma forse più curiosa e viva di quella che oggi trascorre giorni sui social a parlare degli outfit di cantanti, che più che artisti sono dei product placement per maison di moda.
Perché era lei, la sua cascata di capelli ora rosso rame ora biondo platino, i suoi occhi senza sopracciglia bistrati come un mimo triste a dare a parole come “io ti chiedo ancora, il tuo corpo ancora” l’intensità del desiderio e la libertà, finalmente ottenuta, di poterlo pronunciare, urlare con un’estensione di tre ottave e un florilegio vocale di – dicono gli esperti – ben quaranta semitoni, che fa tutto un altro effetto.
Mina è stata la cantante più cornuta della storia della musica leggera.
Mina è stata anche la donna più innamorata e maltrattata.
“io vedo tutte quande le mie amiche
Son tranquille più di me
Non devono discutere ogni cosa
Come tu fai fare a me
Ricevono regali e rose rosse
Per il loro compleanno
Dicon sempre di sì
Non hanno mai problemi e son convinte
Che la vita è tutta lì”
La schiava d’amore che ogni uomo vorrebbe
“Adesso arriva lui
Apre piano la porta
Poi si butta sul letto
E poi e poi
Ad un tratto io sento
Afferrarmi le mani
Le mie gambe tremare
E poi e poi e poi e poi…”
Ma soprattutto è stata la voce più intensa del desiderio femminile, che per la prima volta si confessava senza ipocrisie, salvo qualche piccola concessione alla censura che trasformò una “v” in una “f” nella scandalosa L’importante è finire.
E se le corna facevano parte di questo processo di liberazione allora grazie due volte, Unsinkable Mina, perché “se anche un uomo può sempre avere un’anima”,
se le donne oggi hanno un corpo è anche un po’ merito tuo.