Fu un fiasco. Di proporzioni immani. E tanto più tragico per la passione che ci aveva messo.
Quando il 17 febbraio del 1904 va in scena al Teatro Alla Scala di Milano, per la prima volta, Madama Butterfly sbaglia proprio tutto.
Giacomo Puccini s’infuria e si deprime.
Lui che ne aveva fatto la sua creatura e per arrivare alla stesura del libretto aveva impiegato tre anni.
La scintilla, d’amore, era scoccata a Londra, al Duke Yorks Theatre, nell’estate del 1900, mentre assisteva ad una versione firmata da David Belasco di questa storia tratta da un racconto dell’americano John Luther Long.
E la febbre comincia. Lo assale.
Lavora tre anni, a intermittenza, con grandi coinvolgimento, pause, ma il pensiero è fisso, quasi ossessivo.
Ne parla, di continuo. Sue referenti privilegiate: la moglie dell’ambasciatore giapponese in Italia e Sada Yacco, attrice piuttosto nota.
Chiede, s’informa, vuole entrare nell’atmosfera, nella cultura, nel mood di quel paese.
Eppure.
Il 17 febbraio, mentre gli attori si preparano, indossano i costumi disegnati da Giuseppe Palanti e il direttore Cleofonte Campanini gode d’ottima fama, Madama Butterfly di Puccini fa il tonfo.
Lugubre e pesantissimo.
Un clima di ostilità, si mormora, aleggia attorno al compositore.
Persino un boicottaggio.
Forse.
Ma di certo c’è quella débâcle.
Che Puccini descrive senza sconti, in una lettera all’amico Camillo Bondi:
«Con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio. Ma la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni».
E ha fatto bene a difenderla.
Perché quella sua donna farfalla ha una determinazione stregata, la forza della passione che la spinge a superare, sbaragliare, opporsi a usi, costumi, convinzioni. È un’eroina del futuro, combattente in nome di un’ala d’amore che assume contorni più simili alla divinazione che alle molli e pigre sincrasi dell’erotismo.
Matrimonio e amore non sono ancora silloge in quel debutto d’ultimo secolo del vecchio millennio. E la creatura, ibrida, avanza a tentoni, inciampa.
Inciamperà anche per Madama Butterfly e il suo tronfio, gradasso, vigliacchetto Pinkerton, ufficiale della Marina degli Stati Uniti. La scelta del matrimonio dell’americano è dettata dalla spavalda sete di possesso d’una giovane, giovanissima crisalide, che del lepidottero ha pure il nome.
Quindici anni!
L’età dei giochi
…e dei confetti.
Con quel fare di bambola quando parla m’infiamma.
Così si celebra il matrimonio, secondo la tradizione giapponese, tra lui e la quindicenne Cho Cho-san, termine composto che significa Madama (San) Farfalla (蝶 Chō?).
Ma la legge nipponica consente di ripudiare la sposa anche dopo un mese. E sarà questo che farà il consorte americano, che s’imbarcherà di ritorno in patria, mollando la malcapitata sola e incinta.
Dicon ch’oltre mare se cade in man dell’uom, ogni farfalla
da uno spillo è trafitta ed in tavola infitta!
Ecco appunto.
Dramma, drammone?
A tratti soap opera con quell’insopportabile, irresistibile tratto che è l’incrollabile fiducia della derelitta nel ritorno dell’amato.
Vabbè, ci siamo quasi, i tempi cominciano a essere maturi.
Appena qualche anno prima, all’Esposizione mondiale di Parigi, è stato sancito il trionfo del cinematografo dei Fratelli Lumière. Si ha fame di fiabe, racconti, messe in scene e drammi da divorare con occhi e orecchie.
Né Puccini delude. Ferite, smacchi e colpi bassi in un tripudio di strumenti d’ogni genere: flauti, oboi, corno inglese, clarinetto, fagotto, trombe, tromboni, timpani, tamburi, triangolo, piatti, tam-tam, tam-tam giapponesi, arpa, archi, viola d’amore, fischi d’uccelli.
Intanto il bimbo nasce. Butterfly lo adora, lo ninna cullandolo in segreto con quel pensiero a cui si aggrappa. Tornerà, il suo amato, tornerà in quella stessa Nagasaki degli esordi.
Ma ci sarà una biondina con lui, regolare consorte americana, e il motivo del viaggio questa volta è riprendersi il pupo, di cui ha avuto notizia dal solito pettegolo degno d’ogni trama.
E quell’evidenza strapperà il velo di Maia della malcapitata amorevole Butterfly, che, appena diciottenne, già si sente come una vecchia ripudiata.
Che fare?
Beh, il grande gesto. Che tocca all’eroina tragica. E un gesto esotico, come ci si immagina il Giappone a inizio Novecento. Esotico, immensamente ieratico.
Dopo aver bendato il figlio perché non la veda, si colpisce al collo con un coltello tantō pervenutole in eredità dal padre.
Finisce così la
Bimba dagli occhi pieni di malìa, ora sei tutta mia.
Sei tutta vestita di giglio.
Mi piace la treccia tua bruna fra candidi veli…
Ah, questi uomini… e pensare che Pinkerton stava giusto giusto entrando nella stanza per domandarle perdono (solito tempismo…)
Silvia Andreoli