Quando Leonardo muore ad Amboise nel 1519, i suoi disegni vengono ereditati dall’allievo favorito, Francesco Melzi, che li porta con sé a Milano. Alla scomparsa di quest’ultimo, intorno al 1570, la collezione viene venduta dagli eredi allo scultore Pompeo Leoni, che tenta una prima catalogazione del materiale raccogliendolo in alcuni preziosi «album» tra cui il Codice Atlantico, che è tuttora conservato alla biblioteca ambrosiana di Milano e un volume con molti fogli autografi, che dopo la scomparsa dello scultore viene venduto all’asta a Madrid. Il manoscritto trova la via dell’Inghilterra e i disegni di Leonardo entrano in seguito nel 1690 nella collezione reale del castello di Windsor.
Val la pena ricordare come quelle migliaia di fogli arrivano fino a noi perché, se è vero che il genio di Vinci, è ricordato soprattutto per dipinti come «La gioconda», è altrettanto vero che il corpus di opere che ci ha lasciato è costituito in gran parte da schizzi e disegni al tratto e che tra questi solo una piccola parte è direttamente connessa alla sua produzione artistica, intesa come preparatoria di tele, affreschi o monumenti.
In maggioranza si tratta infatti di studi anatomici e disegni di carattere scientifico che costituiscono in realtà la testimonianza più fedele e puntuale del genio del Rinascimento e delle sue eclettiche predisposizioni perché comprendono le sue infinita varietà di interessi e spiegano i temi principali della sua intera carriera artistica e scientifica.
Benché avesse sviluppato uno stile letterario di qualità, Leonardo stesso rimase non a caso sempre convinto del fatto che una buona immagine aveva la capacità di trasmettere l’esperienza e la conoscenza umane con maggior precisione e concisione di qualunque scritto. E infatti nei bozzetti seguiamo miracolosamente la fertilità intellettuale e lo sviluppo della sua esperienza artistica, dall’anatomia ai progetti idraulici, dalle caricature agli studi per dipinti, dalle mappe geografiche ai sapienti autoritratti.
Leonardo insomma è disegno e il disegno è forse nella nostra storia, e fino a oggi per eccellenza, Leonardo; molto più di quanto ci rendiamo conto. Basti pensare alla forza evocativa e al marchio indelebile, nell’immaginario collettivo di lunga durata, di immagini come quella dell’uomo vitruviano, o dell’autoritratto dell’artista canuto, delle decorazioni floreali e dei volti deformati che anticipano la caricatura di secoli, del capitano di ventura e degli splendidi studi di cavalli.
I disegni coprono l’arco intero dell’attività del genio toscano, a Vinci e a Firenze (1452-1481), a Milano (1481-1500), di nuovo a Firenze (1500-1508), tra Milano e Roma (1508-1516) e infine ad Amboise, in Francia (1517-1519). Ed è soprattutto attraverso gli schizzi di carattere scientifico che possiamo cogliere l’evoluzione del suo sistema filosofico.
Prima del 1510 il metodo leonardiano era stato: interpretare quello che osservava alla luce della conoscenza accumulata e dare poi forma alle proprie interpretazioni scientifiche. In seguito il disegno divenne il prodotto iniziale, antecedente allo stesso ragionamento, proponendosi così come il fondamento e la base per ogni investigazione e ricerca successiva. Un’autentica rivoluzione ben prima di Cartesio e Newton.
Il suo grande talento fu appunto quello di osservatore, di eccezionale archivista della realtà: lo si nota nei profili grotteschi e lo si intuisce negli schizzi anatomici, che, quando non sono minati da una conoscenza imperfetta, rappresentano le più lucide ed accurate illustrazioni anatomiche nella storia della scienza.
Negli ultimi anni della sua vita, quando secondo alcuni perse l’uso di una mano e dovette rinunciare a dipingere, Leonardo portò l’arte dell’illustrazione su carta alla sua massima vetta: nei panneggi, nello studio dei costumi, negli schizzi equestri e soprattutto nella rappresentazione di temporali terrificanti e diluvi, immensi e oppressivi, benché disegnati su piccola scala. In quegli anni Leonardo cessò diventò un visionario e i suoi disegni furono la rappresentazione più fedele e autentica di quelle visioni.
I due principali strumenti utilizzati da Leonardo nei disegni dei primi anni erano uno stilo di metallo e la penna a inchiostro, che richiedevano la preparazione del foglio ed erano paradossalmente tanto precisi quanto «capricciosi»: richiedendo in particolare grande controllo nel tratto, costanza ed esattezza.
Soltanto intorno al 1492 Da Vinci cominciò a utilizzare carboncino rosso e nero, destinato a rivoluzionare la tecnica del disegno in Italia negli anni successivi. Gli ultimi vent’anni dei carriera furono caratterizzati da una costante manipolazione e sperimentazione delle tecniche pittoriche disponibili nel tentativo di dare nuove intelligenti risposte alle idee pittoriche del Rinascimento.
Gli studi dei pannelli per Sant’Anna per esempio, che risalgono al periodo trascorso ad Amboise, rappresentano in la testimonianza più evidente di una ricerca e di una costante attenzione ai mezzi tecnici e ai nuovi strumenti della rappresentazione artistica. La ricerca della perfezione del resto sembra aver impedito molto spesso a Leonardo di arrivare all’autentico compimento di un progetto.
Durante la sua vita ha lavorato incessantemente per realizzare e migliorare i frutti della propria immaginazione: in qualche caso con successo, come con «Monna Lisa» e «La vergine delle rocce»; ma in molti casi le occasioni della vita, e forse il suo stesso irrequieto eclettismo, lo hanno strappato al compimento di progetti artistici ambiziosi, come «La battaglia di Anghiari», «L’adorazione dei magi» o il monumento equestre per lo Sforza; e persino «L’ultima cena» di Milano, forse l’opera più importante che abbia portato a compimento, è destinata a un progressivo deterioramento a causa dell’ardita scommessa tecnica del suo autore, che, nel tentativo di catturare nuovi effetti spinse i materiali utilizzati per l’affresco oltre le effettive possibilità e capacità di resistenza nel tempo. Un parallelo con l’incompiuta scultorea di Michelangelo, la «Pietà Rondanini», sarebbe un territorio d’indagine quanto meno suggestivo.
Guardando «Sant’Anna e San Giovanni battista» diventa chiaro perché Leonardo mostrasse grande difficoltà a portare a termine i propri progetti: l’indeterminatezza del disegno è infatti perfettamente complementare al significato dell’opera. Il mistero pittorico evoca con grande suggestività il mistero divino. E questo è ancor più evidente nel disegno che è sempre libero e migliorabile per natura e incompiuto per necessità. Per questo Leonardo ha parlato, e continua a parlarci, per disegni.
Carlo Alberto Brioschi