L’Universo gioisce di un eterno amplesso. Dilata lento e costante il proprio piacere vitale e lo raggruma in bagliori di luce, tracce oscure e pianeti misteriosi, gemme di bellezza. Per sempre. O almeno è così che lo vuole Fred Hoyle, scienziato e intellettuale tra i più arguti del XX secolo (fisico, astronomo, matematico e… scrittore), eppure (s)conosciuto da tutti. Perché Fred Hoyle è quello del Big Bang: paradossalmente famoso per aver dato nome a quella teoria che, proprio lui, più contestava.
“Non penserete davvero che l’Universo possa essere nato da un grande botto, vero?” – dichiarava stizzito e ironico nel corso di una storica trasmissione radio della BBC, anno 1949. Giovane e già affermato studioso, dal nativo Yorkshire a docente a Cambridge, Sir Fred Hoyle affascinava gli ascoltatori con una serie di conferenze su The nature of the Universe, destinate a rendere accessibili al grande pubblico teoria della relatività e altre meraviglie, soprattutto le proprie.
E chi meglio di lui? Occhiali tondi e sorriso imperfetto, Hoyle incarnava a pennello l’immagine dello scienziato geniale e un po’ folle. Di quelli che a forza di guardare il cielo ci hanno perso la testa (e la terra…) e ti raccontano di curvature gravitazionali o distorsioni spazio-temporali come fossero pane. Robe da non credere. E da far decollare gli indici di ascolto. Per questo lo odiavano: i colleghi ai quali era negato un simile palcoscenico, e ancora di più quelli che teorizzavano e sostenevano il grande botto. Quel Big Bang che si trasformava così da cenno spregiativo a celeberrima interpretazione del cosmo.
Una beffa? Già. Ma che non gli fa un baffo. Instancabilmente innamorato delle stelle e del proprio pensiero, Hoyle pubblica ricerche e sostiene con studi quella teoria dello stato stazionario (o della creazione continua) e quella “Panspermia” anti-evoluzionista oggi rivalutata (e cioè che i semi vitali sono ovunque nell’universo; salvezza e condanna – l’origine della vita… l’Aids – affidati alla coda di una cometa) che sono insieme il suo credo scientifico e il suo sguardo poetico.
Un modello teorico, perfettamente compatibile con le equazioni di Einstein, e destinato a interpretare la continua espansione dell’Universo attraverso la creazione continua di materia: per la precisione di un atomo di idrogeno per chilometro cubo all’anno. Come dite? E’ assurdo pensare a una materia che si crea dal nulla? Ecco la sua risposta: “Forse è paradossale. Ma non è ancora più paradossale l’idea che un bel sacco di roba, l’intero universo, sia nato in un attimo, dal niente? (…) Trovo più accettabile l’idea della creazione di un atomo di idrogeno all’anno che quella della nascita dell’Universo da un punto”.
Possibilità (e che altro? trattandosi di speculazioni mai totalmente dimostrabili…), dunque, non fantasia. Quella la spende nella scrittura. Nella gestazione altrettanto geniale di romanzi che diventano subito famosi (A come Andromeda) o più sottilmente elitari, come La nuvola nera (purtroppo da tempo non ristampato in Italia): straordinaria parodia di una società che di fronte a un’entità (intelligenza aliena) superiore dimostra la propria ignorante incapacità, la propria debolezza politica, e quella stupida rivalità anche tra uomini di scienza che può portare alla catastrofe un intero pianeta.
Chi si salva? Solo chi ascolta, riflette e comprende. Lo studioso aperto a immaginare e accettare anche quanto abita a un passo dalle gabbie della logica. Sguardo inatteso e sensato sul possibile. E’ lo sguardo di Hoyle, che caparbiamente insiste a puntare il dito su altre verità. I riconoscimenti e le onorificenze ricevute (come anche la cometa e la medaglia che portano il suo nome) dicono molto in questo senso; e così quel mancato Nobel, assegnato invece a due colleghi vicinissimi alle sue ricerche, e dei quali svelò il deprecabile imbroglio di aver utilizzato le ricerche di una collega.
Hoyle ha il bisogno e il coraggio di dirlo. Ha la forza, sempre, di immaginare, insieme all’evidenza degli studi e dei dati. Del resto (gli) basta poco. Basta un atomo di idrogeno che affiora ogni tanto in qualche angolo d’immenso per avvicinarsi alla misteriosa verità di tutte le stelle. A quella bellezza nativa e inesausta che potrebbe rendere dolcemente infinito il nostro breve naufragare di uomini.
Rita Guidi*
*Rita Guidi è nata e vive a Parma, ha pubblicato con Newton&Compton e Bevivino Editore, giornalista free-lance ha ricevuto il Premio Pietro Bianchi 2005, è docente di lettere e si occupa di editoria elettronica, ha un blog (bigblogtrotter.blogspot.it) ed è a-social per convintissima scelta. Si diletta di poesia, scienza, meccanica quantistica e tecnologia.