Dici Ezra Pound e pensi a Casa Pound, inquietante sede di un movimento politico italiano di estrema destra, ispirato alle posizioni politiche di un americano antisemita e nazifascista. Tanto antisemita e tanto nazifascista, quanto clinicamente pazzo.
E infatti, a conclusione della Seconda Guerra Mondiale, gli americani ritennero opportuno ospitarlo per 13 anni in un manicomio criminale nella speranza di rieducarlo ai valori democratici degli Stati Uniti.
Ma per Pound la vera Patria era l’Italia, Paese di santi, poeti, navigatori e fuori di testa di ogni tipo.
E infatti vi trasferì nel 1924 per sostenere il regime fascista fino alla caduta della Repubblica Sociale Italiana e anche dopo, in cuor suo. E riuscì a farsi ricevere da Mussolini, il 30 gennaio del 1933 e a pronunciare, profetico come solo un grande poeta può essere, una delle sue più famose frasi: “Duce, ho la possibilità di non far pagare le tasse agli italiani” mentre gli porgeva una copia dei suoi celebri Cantos.
Considerava Mussolini il più grande statista della sua epoca, Hitler un “imitatore isterico” del Duce e Churchill un criminale di guerra. Aveva idee un po’ bislacche.
Ma era pazzo.
Ma era Poeta.
Grandissimo.
“Il miglior fabbro” come scrisse nell’epigrafe a La terra desolata Thomas Stearns Eliot, di cui Pound fu editor , o meglio “l’editor”, l’unico che poteva metter mano a quel complesso e infinito capolavoro della poesia del Novecento.
Quanto grande?
Grande così:
Francesca
You came in out of the night
And there were flowers in your hands,
Now you will come out of a confusion of people,
Out of a turmoil of speech about you.
I who have seen you amid the primal things
Was angry when they spoke your name
In ordinary places.
I would that the cool waves might flow over my mind,
And that the world should dry as a dead leaf,
Or as a dandelion seed-pod and be swept away,
So that I might find you again,
Alone.
Sei emersa dalla notte e recavi fiori tra le mani,
Ora ti staglierai contro una confusione di individui,
Emergendo da un tumulto di parole su di te.
Io che ti vidi tra le cose primordiali,
Mi adirai quando pronunciarono il tuo nome in luoghi volgari.
Quanto vorrei che le fredde onde sommergessero la mia mente,
E che il mondo inaridisse come foglia secca
O come bacca di dente di leone e fosse spazzato via,
Così potrei ritrovarti.
Sola.
La traduzione è l’iceberg nascosto, l’insidia nemica della poesia, l’ombra che può deformarne l’anima,
ma con un testo così è impossibile commettere errori, se si ha un po’ dimestichezza con la lingua. Perché il concetto è archetipico e vibrante di luce e le parole così perfettamente infilate da risplendere come perle e sconfiggere l’ombra.
I fiori, la folla, le onde si mescolano in un mulinello di cupio dissolvi da cui emerge solo l’oggetto del proprio amore.
Sola.
A quel punto Eterna, perché siderata nella solitudine di un mondo dissolto per fare spazio solo a lei.
Sì, c’è pure una bacca di dente di leone. Una cosa irrilevante per il mondo, ma anche lei deve rinsecchirsi, inaridire, ridursi in briciole, per lasciare spazio a questa Venere che non nasce dalle onde ma dal buio e si chiama Francesca. Una bella rivincita per tutte le Francesca che non si sono mai sentite rappresentate dalla canzone di Battisti e che non potevano rallegrarsi all’idea di avere il proprio nome associato a una dannata che soffrirà in eterno le pene dell’Inferno di Dante.
Pound è stato un pilastro della Poesia del XX secolo. Ed era pazzo, totalmente pazzo. Ed era pure nazifascista e antisemita. Lo era perché era pazzo? Sono decisamente portata a crederlo.
Ma se la pazzia delle sue idee politiche complottiste e scollegate dalla realtà come tale andrebbe considerata, la sua poesia va goduta con l’abbandono che si deve solo all’assoluta bellezza della parola. E in questo caso della donna che tutte vorremmo essere, Francesca.