MOLLY BROWN
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Inaffondabili

EVITA PERÓN: la Cenerentola della Pampa

Il suo nome è leggenda. Ancora e per sempre.
Non solo in Argentina, che non l’hai mai dimenticata e dove Evita Perón è considerata addirittura una santa. Ma anche nel resto del mondo. Tanto che in Italia, a settant’anni dalla sua scomparsa, sono usciti da poco due libri: il romanzo di Iaia Caputo La versione di Eva e il saggio
Enigma Evita della giornalista Elisabetta Rosaspina, entrambi editi da Mondadori.
Il primo è un appassionato racconto corale della “primera dama”, che «arrivò a Buenos
Aires stracciona, divenne regina e, una volta morta, risorse a divinità».

Enigma Evita racconta come in un romanzo giallo la vita della “Cenerentola della Pampa”,
toccando anche molti aspetti inediti di una delle protagoniste più amate e controverse
del Novecento.

Il volume comincia con la storia rocambolesca «del trasloco
clandestino e fraudolento attraverso tre nazioni della mummia più ricercata al
mondo» e con l’interrogatorio di Roberto Germani, l’autista delle pompe funebri a
cui toccò in sorte il trasferimento della salma di Evita da Milano (dove era stata
deposta per ben sedici anni in una tomba sotto il nome falso di Maria Maggi de
Magistris) fino a Madrid, dove Perón viveva in esilio. E dove, «il 3 settembre 1971,
attorniato da una piccola brigata di personaggi non sempre limpidi e sinceri, aspetta
il corpo imbalsamato della donna che era stata la sua bandiera, ma che non può più
cavarlo dai guai», si legge in Enigma Evita.
Nonostante le indagini e le inchieste giornalistiche del tempo, i misteri di quella
sepoltura segreta in Italia, propiziata addirittura in Vaticano, restano irrisolti ancora
oggi.

E solo il 26 luglio 2005, al Campo 86 del cimitero di Musocco, sarà inaugurata la lapide in memoria dell’antica e illustre ospite, María Eva Duarte de Perón.

«Evita, la donna più ossequiata dell’emisfero meridionale tra la metà degli anni
Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, si era dovuta accontentare di una tomba
abbandonata e di due fiori di plastica verde, coperti dalla polvere del tempo»,
sottolinea Elisabetta Rosaspina nel suo libro. Seguendo passo passo la straordinaria vita dell’indimenticabile e indimenticata Evita si scoprono i tanti segreti di una ragazza che veniva dal niente:

«Si era affacciata al mondo, il 7 maggio 1919 a Los Toldos, borgo rurale argentino di tremila abitanti… L’ultima dei cinque figli illegittimi di Juana Ibarguren; e la più povera di tutti loro».

Il padre, Juan Duarte Etchegoyen, era un piccolo proprietario terriero, ma non certo
un miliardario. E lei era ancora una bambina quando un ubriaco in paese le sussurrò:
«Tua madre è stata scambiata con una giumenta e un calessino. È a questo prezzo
che tua nonna, doña Petrona, l’ha venduta a don Juan». Ma secondo la mitologia
peronista, «sposata oltre cinquant’anni dopo dagli autori del musical di Tim Rice e
Andrew Lloyd Webber, e più tardi dal regista cinematografico Alan Parker, l’attimo
decisivo in cui dentro di lei si impose la volontà di ribaltare le sorti degli oppressi, di
abbattere le oligarchie, di riscattare i diseredati» fu nel gennaio 1926, «quando Juana
si presentò alla camera ardente con i suoi “bastardi”, tutti vestiti di nero, per dare
l’ultimo saluto a Juan e fu proditoriamente respinta e umiliata dai parenti legittimi».

Se nella sua biografia Evita ricorda come, da piccola, «per molti giorni rimasi triste, quando venni a sapere che nel mondo c’erano i poveri e i ricchi», una volta arrivata a Buenos Aires, a sedici anni, è più che determinata a prendersi la rivincita sulla
società borghese e benpensante argentina.

Vuole mettersi alle spalle le umiliazioni
subite dalla famiglia legittima del padre, che aveva abbandonato lei, la madre e i
fratelli all’indigenza, e sogna di diventare una stella del cinema. Nella capitale
argentina affronta la vera e propria giungla del sottobosco che popola il mondo dello
spettacolo ma riesce con grande tenacia ad ottenere una particina nel film La senora
de Pérez cui seguirono altri ruoli di secondaria importanza. Finché nel 1939 arriva
la grande occasione: la scrittura come protagonista in un radiodramma.
La vera svolta della sua vita arriva nel 1943, al festival per raccogliere i fondi
destinati alle vittime del terremoto che aveva raso al suolo la città di S. Juan.
Fra i numerosi politici e personaggi famosi, infatti, c’è anche il colonnello Juan Domingo
Perón. La leggenda vuole che sia stato un colpo di fulmine: Eva attratta dal senso di
protezione che Perón, di ventiquattro anni più anziano, le suscita; lui colpito
dall'apparente bontà di lei (come dichiarato in un’intervista) e dal suo carattere,
nervoso ma insicuro. Da allora la sua vita cambierà per sempre, assieme a quella dei
suoi descamisados, ovvero i più poveri fra i poveri d’Argentina.

Con la vittoria alle elezioni del 1946 di Perón con il 53% dei consensi, Evita si insedierà al Ministero del Lavoro.

Si occuperà di diritti degli anziani, delle donne, dei bambini e, attraverso la Fondazione da lei istituita, anche di assistenza sociale, oltre che dei problemi sindacali dei lavoratori argentini,
acquistando e dirigendo, fra l’altro, il giornale “Democracia” e fondando il
Partito Peronista Femminile.
Negli anni successivi, la “Signora della Speranza” nobilita la dittatura con la sua
dedizione ai poveri, le opere di bene, le fondazioni, gli ospedali, le scuole,
alimentando un mito che sovrasta e mette in ombra il potere del marito.

«Si sentiva una rivoluzionaria, molto più combattiva della “Eleanor Roosevelt del Sud America” che vedeva in lei l’ossequioso “Democracia”. E se soffriva un po’ di megalomania,
non l’avrebbe mai ammesso… Avevano ragione, gli argentini, a adorarla. Eva Perón
aveva già inventato il concetto di microcredito per il quale ha ricevuto il premio
Nobel per la Pace nel 2006 l’economista indiano Muhammad Yunus», si legge nel
libro Enigma Evita.

L’ultimo mistero di Evita riguarda la sua morte, a 33 anni, per un carcinoma all’utero.

Mentre della lobotomia che le era stata praticata nel 1952, si apprese
solo nel 2005: «L’operazione aveva lo scopo per il quale veniva utilizzata
negli anni Cinquanta con i malati terminali, ossia di ridurre le sofferenze
fisiche? Oppure aveva la stessa finalità con la quale veniva eseguita sempre
in quegli anni sui malati psichiatrici per disattivarne l’emotività?», si chiede
Elisabetta Rosaspina nel suo interessante saggio, che indaga con dovizia di
particolari sugli ultimi mesi di vita di Evita. Fino al commovente discorso del
17 ottobre 1951, la sua ultima festa nazionale in onore della rivoluzione
peronista, in cui disse:« Se questo popolo mi chiedesse la vita, gliela darei
cantando, perché la felicità di un solo descamisado vale più della mia vita».
Dopo i funerali, seguiti da tre milioni di argentini, l’anatomopatologo
spagnolo Pedro Ara impiegò quasi un anno per completare l’opera di
imbalsamazione voluta dal marito. Quello che poi accadde negli anni
successivi non appartiene alla cronaca ma quasi esclusivamente
all’immaginazione, tra resoconti fantastici mescolati ai pochi elementi storici
disponibili, rendendo quasi indistinguibili gli uni dagli altri.

Una sola cosa è certa. Con la sua morte, Evita diventò leggenda.

Suggellata da un avvertimento che suona come una profezia. Le parole che il futuro papa
Giovanni XXIII, Nunzio apostolico a Parigi, le aveva detto nel 1947:
«Signora, prosegua nella lotta per i poveri, ma sappia che se fatta sul serio
questa lotta termina sulla croce».

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