Non è parente del ben più famoso Carlo (deus ex machina del Festival di Sanremo). E non ha nulla a che vedere neppure con il simpatico Febo (noto solo agli ex bambini degli anni ’60 che guardavano in tv il mitico quiz Chissà chi lo sa). In più Milano, che pure gli deve moltissimo, non gli ha mai dedicato nemmeno una strada di periferia. E c’è pure da scommettere che la maggior parte degli allievi dell’istituto tecnico che porta il suo nome non si è mai posto il problema di sapere chi fosse l’ignoto personaggio. Uno dei tanti milanesi, un tempo illustri, oggi ingiustamente dimenticati.
Eppure quella di Ettore Conti, conte di Verampio nonché ingegnere, politico, imprenditore e dirigente d’azienda italiano è stata una vita da romanzo, degna di diventare la sceneggiatura di un film o perlomeno di una fiction. Non solo perché è vissuto più di cent’anni (dal 1871 al 1972), ma anche perché, nato figlio di un modesto tappezziere e fabbricante di mobili, è stato il primo vero magnate dell’industria elettrica italiana.
Forte del motto “Agere, non loqui” (Fare e non parlare), con le sue imprese, nel primo Novecento, Conti costruì molte centrali idroelettriche nelle valli alpine, quasi tutte su progetto dell’architetto Piero Portaluppi (che ne sposò la nipote, Lia Baglia, adottata ex sorore), diventando uno dei più importanti industriali del Ventennio fascista. Primo presidente di Agip e presidente di Confindustria, incaricato di missioni economiche all’estero, presidente per quindici anni della Banca Commerciale, fu anche uno dei rari italiani che tenne testa a Mussolini.
La sua scalata sociale comincia nel 1894 quando, appena laureato in Ingegneria civile al Politecnico, fonda insieme a Carlo Clerici la “Clerici e Conti”, una società in accomandita per la distribuzione dell’energia elettrica a Milano (la sede era in via Principe Umberto, oggi via Turati) che viene subito acquistata dalla Edison per 81.000 lire. Nel febbraio 1895 entra nella direzione tecnico-amministrativa della Edison. Ambizioso, brillante, consapevole delle proprie capacità e del valore delle proprie intuizioni, energico, dotato di eccellenti qualità manageriali, non ci rimase a lungo, anche se lì, come riconosceva, apprese «molte virtù borghesi».
Disegnando una pianta industriale di Milano «con la indicazione di tutti gli opifici che avranno interesse a sostituire il motore elettrico al vapore o al gas» e iniziando le trattative con i potenziali clienti, Ettore Conti si era conto delle enormi e inesplorate possibilità del settore. Clienti principali delle officine elettriche erano ancora solamente «i teatri, caffè, grandi magazzini di lusso ed appartamenti di persone facoltose, o almeno dei ceto medio», quanti cioè preferivano la comodità e sicurezza dell’illuminazione elettrica al minor costo dei gas.
Veniva però trascurata secondo lui «tutta la numerosissima clientela degli impianti privati di piccola entità, le piccole botteghe aperte fino a tardi, i cui padroni inoltre vivono spesso superiormente alla bottega stessa, accrescendo la possibilità di un lungo orario», scrive. Per questo con altri soci fonda alcune società, con cui costruisce una centrale elettrica dopo l’altra, dalla val d’Ossola all’Adamello.

Nel 1919 Ettore Conti viene eletto Senatore del Regno (con 102 voti favorevoli e 8 contrari) ma deve aspettare altri vent’anni, fino al 9 maggio 1939, per diventare nobile con il titolo di “conte di Verampio” (dal nome della località dove sorge la centrale costruita nel 1915 alla confluenza dei fiumi Toce e Devero). Sullo stemma, dedicato al suo santo patrono San Giorgio (era nato il 24 aprile) figurano anche la “razza” viscontea (il sole raggiante) e una scacchiera.
Il resto è una vita piena di grandi successi. Economici e diplomatici. Come nel 1922, quando su incarico del presidente del Consiglio Luigi Facta, negozia un accordo commerciale con i Sovietici alla Conferenza internazionale economica di Genova. E di coraggiose prese di posizione politiche. Come il suo discorso in Senato nel 1927 sulla rivalutazione della lira (anche se l’unico quotidiano che riportò il testo del suo intervento fu «La Stampa», che venne per questo sequestrata).
Una tessera della manovra con cui nella tarda primavera del 1927 si cercava da più parti di indurre Mussolini a non rivalutare a oltranza la lira (la famosa “Quota 90”), usando come argomentazione efficace il pericolo di compromettere irreparabilmente il pareggio del bilancio di cui il fascismo si vantava. Ma evidentemente Conti seppe giocare bene le sue carte, se nel decennio successivo viaggiò in tutto il mondo in missione ufficiale fino all’ultima nel 1938 ufficiale (che gli vale la nomina a ministro plenipotenziario): le trattative con il Giappone e il Manciukuò per accordi economici.
Fu Giovanni Malagodi a suggerire a Ettore Conti di modificare un progetto concepito nell’estate 1939 (rievocare le fasi iniziali dello sviluppo industriale italiano) in un racconto autobiografico (pubblicato nel 1946 da Garzanti con il titolo Dal taccuino di un borghese) che lo impegnerà durante tutta la guerra, e a cui forse contribuì il nipote e figlio adottivo, lo scrittore Piero Gadda Conti.
Epurato dopo la Liberazione per i suoi trascorsi sotto il Fascismo, Conti viene in seguito riabilitato e nominato nel 1955 Grande Ufficiale al merito della Repubblica. Muore il 13 dicembre 1972. È sepolto assieme alla moglie Gianna Casati nella quarta cappella a sinistra di Santa Maria delle Grazie, la basilica di cui per due volte, prima e dopo la guerra, finanziò i restauri.

Tutto questo e molto di più sulla straordinaria figura di questo imprenditore milanese lo si scopre visitando la Casa degli Atellani (o Della Tela, famiglia di cortigiani e diplomatici al servizio nel XV secolo dei duchi di Milano, di Ludovico il Moro e degli Sforza) in corso Magenta 65-67, acquistata da Conti nel maggio 1919 per farne la propria abitazione (nonostante le resistenze di sua moglie che pare avesse esclamato: «Non vorrai che noi si venga ad abitare in questa topaia!») e restaurata dal genero Piero Portaluppi tra il 1922 e il ’23.
Allora si trattava di due case vicine e separate: una nel luogo dello scomparso numero civico 67; l’altra, probabilmente già ricostruita nel primo Cinquecento, nel luogo dell’attuale ingresso al numero civico 65. Portaluppi abbatte il muro che le separava e s’inventa una casa sola, unendo le due corti preesistenti grazie a un nuovo atrio porticato, sotto il quale prevede l’ingresso all’appartamento padronale.
La pianta del nuovo edificio viene riequilibrata intorno a un inedito asse prospettico che si spinge fino al giardino interno, dove nel 2015, in occasione di Expo, è stata riportata alla luce la Vigna di Leonardo da Vinci, che abitò proprio qui negli anni in cui dipingeva il Cenacolo per i frati domenicani di Santa Maria delle Grazie, praticamente di fronte al portone di casa. Corsi e ricorsi curiosi della storia di Milano, città plasmata grazie anche all’irrequietezza fattiva di persone come Ettore Conti, fedeli nei secoli al motto “Agere, non loqui”.
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www.storiadimilano.it/repertori/ettoreconti/cronettoreconti.htm
Marina Moioli