MOLLY BROWN
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Inaffondabili

CRISTINA DI BELGIOIOSO: la prima donna d’Italia

A volte gli anniversari servono. L’anno scorso, quello dei 150 anni dalla morte, le ha fruttato una bella statua (di Giuseppe Bergomi, davanti al suo palazzo milanese) e un libro interessante, La donna che decise il suo destino di  Pier Luigi Vercesi (Neri Pozza, 2021).
Ma la ricorrenza è stata anche l’occasione per ricordarne il grande contributo al Risorgimento italiano. Mancherebbe ora solo un film storico o almeno una fiction tutta dedicata a lei (ben più del ritrattino fatto da Mario Martone nel 2010 in Noi credevamo) per rendere piena giustizia a questa anticonformista ante litteram, coraggiosa paladina dell’indipendenza femminile e patriota di fede mazziniana, che Carlo Cattaneo definì come “La prima donna d’Italia” e che ispirò a Stendhal la duchessa Sanseverina de “La Certosa di Parma”.

Nata ricchissima ma vissuta tra mille vicissitudini, Cristina di Belgioioso ha lasciato ai posteri una frase che suona come un testamento:

«Vogliano le donne felici e onorate dei tempi a venire rivolgere il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che le precedettero, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro aprirono e prepararono la via alla mai goduta, forse appena sognata felicità».

Da bambina gracile e timida (orfana di padre a quattro anni) Cristina Trivulzio diventa una ragazza intrepida. A 16 anni sfida la famiglia rifiutando il matrimonio con un tranquillo ma tristanzuolo cugino e sposa invece il principe Emilio Barbiano di Belgioioso, che era bello ma decisamente poco raccomandabile, una specie di playboy nella Milano degli anni Venti dell’Ottocento: distinto, spavaldo, spiritoso ma anche spregiudicato, facile preda del tavolo da gioco e per di più malato di sifilide. Gli porta in dote la bellezza di 400mila lire austriache, oggi pari a circa 4 milioni di euro.
Il matrimonio durerà poco, anche se il rapporto tra i due non verrà meno per tutta la vita.
Una vita davvero “da romanzo”. 

Dopo pochi anni Cristina decide di abbandonare il marito traditore e comincia la sua “carriera” di esule a Parigi.

La polizia austriaca però sequestra tutti i suoi beni in Italia e la principessa è costretta per qualche tempo a guadagnarsi da vivere confezionando pizzi e coccarde. Tanto che qualcuno arriverà a dire di aver letto sulla modesta porta d’ingresso del suo appartamento un cartello con scritto: “Ici habite la Princesse Malheureuse”.
La povertà dura poco, prima grazie a un prestito della madre e poi con il dissequestro di parte dei suoi immensi beni. Così affitta un appartamento nel centro di Parigi, apre un salotto, stringe amicizia con Heinrich Heine, Liszt, de Musset. 

A Parigi è molto ammirata. Alta, sottile, colorito pallidissimo, capelli nerissimi.

«Per gli stranieri che la frequentavano era una dea, la musa romantica per antonomasia; per i francesi una pazza comunista che giocava a fare il fantasma…
Cristina giocava con il fuoco. Giovane, bella, sola in compagnia di cospiratori e aristocratici, rivoluzionari e borghesi, poeti e dissipatori, abati e senza dio. Si destreggiava tra blandizie e maldicenze, adoratori e odiatori, con la stessa naturalezza con la quale ballava il valzer…», si legge nel bel libro di Vercesi.
Sono gli anni in cui nasce la leggenda della principessa rivoluzionaria, spregiudicata patriota italiana, braccata dalle spie austriache, immortalata da Francesco Hayez nel suo scollatissimo abito nero. 

A Parigi incontra François Mignet, considerato nel 1831 l’astro più luminoso della Parigi liberale, un riformatore moderato odiato dai restauratori borbonici.

A lui Cristina rimarrà legata per il resto della vita, tanto che molti ritengono fosse proprio lui il padre della figlia Maria, nata il 23 dicembre 1838. Il giallo sulla paternità non verrà comunque mai risolto e ancora oggi la verità manca. Quello che invece si sa è che ci vollero più di vent’anni perché a quella figlia, ufficialmente “illegittima”, fosse riconosciuto il casato dei Belgioioso. 

A Parigi usa il suo denaro per diffondere idee: fonda la rivista «Ausonio» sul modello della celebre «Revue des Deux Mondes», incontra Cavour ma anche tanti rivoluzionari e si orienta per la soluzione unitaria e monarchica. Nello stesso tempo studia e scrive, tra l’altro traducendo in francese le opere di Gian Battista Vico. 

La sua vita da principessa errante e pasionaria la riporta poi di nuovo in Italia.

Si stabilisce per alcuni anni a Locate, dove possiede una grande proprietà di famiglia e mette in pratica le idee del socialismo utopistico di Charles Fourier creando anche scuole maschili e femminili, nonché forme di previdenza per i contadini. Iniziativa a quei tempi non da tutti apprezzata, se è vero che Alessandro Manzoni quando gli fu riferito che Cristina aveva fondato un asilo per i bambini poveri esclamò: «ma se ora i figli dei contadini vanno a scuola chi coltiverà i nostri campi?». E lo stesso Manzoni, quando la principessa gli chiederà di dare un ultimo saluto a sua madre Giulia Beccaria, non la lascerà entrare nel vicino palazzo di via Morone 1: troppo scandalosa era stata la sua vita per essere accettata da un cattolico tanto integerrimo.

Nella lunga avventurosa vita della “prima donna d’Italia” non mancano la partecipazione alle Cinque Giornate di Milano (quando organizza quello che, con un po’ di ironia, venne chiamato “esercito Belgioioso”, un’armata Brancaleone di 200 volontari) o alla Repubblica Romana (quando trascorre giorno e notte negli ospedali e trasforma in “infermiere” dame dell’aristocrazia, donne borghesi e anche qualche prostituta). Dopo la sconfitta s’imbarca a Civitavecchia con la figlia, arriva a  Costantinopoli, fonda perfino nella Turchia più profonda una colonia agricola aperta a profughi italiani, assiste la popolazione locale, si guadagna da vivere scrivendo articoli di sorprendente verismo sull’Anatolia, il Libano, la Siria, la Palestina.

Finalmente nel 1855 la principessa di Belgioioso ottiene dalla burocrazia austriaca la restituzione dei suoi beni e torna in Italia. Nel 1861, dopo la proclamazione della tanto sospirata unità d’Italia, lascia ogni attività politica e vive tra Milano, Locate e il lago di Como con l’affezionato servo turco Burdoz e la governante inglese Miss Parker, compagni di viaggi e d’avventure da vent’anni.

Muore il 5 luglio 1871 a Milano, a 63 anni.

«Quando avvertì che la morte sarebbe venuta a visitarla, non volle farsi cogliere distesa. Non riuscendo a morire in piedi, si adagiò su una poltrona… Ai funerali c’erano solo pochi intimi. L’aristocrazia milanese era in villeggiatura e non si scomodò per rientrare in città», scrive ancora Vercesi. 

Cominciava così un lungo oblìo per l’inaffondabile Cristina. Che di sè aveva detto:

“Se fossi stata un uomo avrei un monumento in ogni città d’Italia”.

Ne ha ottenuto soltanto uno.

  

 

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