Io ne ho conosciute diverse. Erano donne, ma anche uomini; alcune erano giovanissime, altri già maturi. Erano quelli che quando li incontri per la prima volta ci vedi dentro una luce, un lampo, un guizzo di follia e ingenuità, e vuoi conoscerli e parlarci e starli ad ascoltare.
Poi per caso ho ‘incontrato’ lei, l’originale, ‘The unsinkable Molly Brown’, l’inaffondabile Molly Brown, e da quel momento ho continuato a cercare quelle\i che non affondano, che si lanciano in imprese impossibili e bellissime. Nella vita vera e in quella raccontata, tra i corridoi di una redazione e sugli schermi di un cinema. Non conta.
Ma veniamo a Molly. Che in realtà si chiamava Margaret e che nacque a Hannibal, in Missouri, come Tobin da una famiglia allargata d’immigrati irlandesi.
I suoi genitori erano entrambi al secondo matrimonio e lei, la quarta di sei figli. Terminò gli studi a tredici anni e a diciotto iniziò a lavorare come commessa a Leadville, in Colorado.
Qui sposò J.J. Brown e con lui, e una miniera d’oro, divenne una donna ricca, tanto da spostarsi nella lussuosa zona di Capitol Hill, a Denver, e di conseguenza entrare nell’esclusivo Women’s Club della città dove s’impegnò per l’alfabetizzazione delle donne e dei bambini.
All’inizio del Novecento si separò dal marito e si trasferì a New York dove s’iscrisse all’Istituto Carnegie. Fino al 1912 la sua vita fu costellata di battaglie filantropiche, una candidatura al Senato purtroppo fallita, abiti, feste, gioielli e viaggi a Parigi. E fu proprio in Francia che le arrivò la notizia della malattia di un suo adorato nipote. E Molly salì sulla prima nave disponibile: il Titanic, cabina B2.
Cosa successe la notte del 14 aprile alle 23.40 è storia: lo schianto con l’iceberg, i 1.518 morti sul colpo, la salvezza per i 705 superstiti sul Carpathia. Meno nota, per noi italiani, è la storia di Maggie, cioè Molly, che si guadagnò il soprannome che fece di lei una leggenda americana, proprio quella notte.
Con venti donne e due uomini (la vedetta Frederick Fleet e il timoniere Robert Hitchens), si ritrovò sulla scialuppa numero 6 e, dopo aver minacciato con un remo il timoniere troppo pavido, ne prese il controllo, portandola fuori dal pericoloso vortice causato dall’inabissamento della nave. Anche sul Carpathia, Maggie si rivelò fondamentale: parlava tre lingue e stilò l’elenco dei superstiti. Una volta a New York, dovette accontentarsi di qualche foto e un paio di dichiarazioni rilasciate ai cronisti che attendavano al porto i sopravvissuti, perché non poté testimoniare davanti alla Commissione d’inchiesta, in quanto donna (Hitchens invece sì!). E allora Maggie scrisse la sua versione dei fatti e la fece pubblicare, e diventò un mito, un’eroina, un’icona di un mondo nuovo nel Nuovo Mondo.
Non contenta della notorietà guadagnata, pochi anni dopo tornò a Parigi: stava per terminare la prima guerra mondiale e lei lavorò col Comitato Americano per la ricostruzione della Francia così tanto e così bene da guadagnarsi, a pochi anni dalla morte avvenuta nel 1932, la Legion d’onore. L’ultimo periodo della sua vita, lo trascorse recitando in teatro e, si mormora tutt’oggi, a Denver, come affittacamere (ma qualcuno dice gestendo una casa di tolleranza).
Dopo la sua morte, fu il teatro a dedicarsi a lei con lo spettacolo che consacrò il suo mito a Broadway, The unsinkable Molly Brown, e poco dopo il cinema, con diversi film dall’identico titolo dedicati al più incredibile incidente mai avvenuto in mare (sì, compare anche nel pluripremiato Titanic di James Cameron grazie a Kathy Bates).
In inglese si dice “larger than life”, per indicare quelle persone più grandi della vita stessa, gli affamati e i folli di cui parlava Steve Jobs, quelli che non si fermano, che pagaiano per sfuggire a un vortice che vorrebbe tirarli giù, che non si risparmiano. La maggior parte di loro non sono filantropi, ma artisti, talenti straordinari e quindi egoisti, egocentrici, smodati, maleducati e spesso anche drogati.
Possono scrivere poesie o tirare rigori, dipingere quadri o suonare il basso, possono essere persone in carne e ossa o personaggi nati dalla fantasia di romanziere, non conta. Tutti sono degli unsinkable, inaffondabili; personalità straordinarie che hanno segnato un’epoca o anche solo un contesto, ma che comunque hanno remato per sfuggire a un vortice che li voleva risucchiare. E se non hanno salvato delle vite, hanno comunque reso più bella quella di tutti noi.
Noi cercheremo di raccontarli con passione e gratitudine, perché con loro siamo cresciuti, abbiamo scoperto mondi e provato a capire realtà diverse. Grazie a loro ci siamo emozionati, a volte arrabbiati, abbiamo gioito, sofferto, esultato…
Sono stati i remi che ci hanno consentito di restare a galla, e se siamo diventati un pochino più inaffondabili il merito è anche loro.
Anna di Cagno